In un mondo del lavoro in continua evoluzione, la pianificazione del welfare aziendale si rivela non solo una scelta etica ma anche una strategia vincente per le imprese che desiderano prosperare. Il welfare aziendale, infatti, non è solo un insieme di servizi e benefit per i dipendenti, ma rappresenta un vero e proprio investimento nel capitale umano, fondamentale per la crescita e la competitività di un’azienda.
Investire nelle persone
Il primo passo nella pianificazione del welfare aziendale è riconoscere che i dipendenti sono la risorsa più preziosa di un’impresa. Investire in programmi di welfare significa investire nel benessere fisico, mentale ed economico dei lavoratori, con ricadute positive sulla produttività e sull’ambiente lavorativo. Un dipendente soddisfatto e motivato è più produttivo, meno assente e più legato all’azienda.
Ascolto e personalizzazione
Un programma di welfare efficace parte dall’ascolto delle esigenze dei dipendenti. Attraverso survey e incontri periodici, l’azienda può raccogliere informazioni preziose per costruire un pacchetto di welfare su misura, che risponda realmente alle necessità del personale. La personalizzazione dei servizi è la chiave per un welfare che non sia solo un elenco di benefit standard, ma un vero supporto nella vita quotidiana dei lavoratori.
Welfare e produttività
Numerosi studi hanno dimostrato che un buon piano di welfare aziendale può aumentare significativamente la produttività. Servizi come asili nido aziendali, orari flessibili, supporto psicologico, programmi di formazione e sviluppo delle competenze, non solo migliorano la qualità della vita dei dipendenti, ma si traducono in un incremento dell’efficienza lavorativa.
Attrarre e trattenere i talenti
In un mercato del lavoro sempre più competitivo, un solido programma di welfare può fare la differenza nella capacità di un’azienda di attrarre e trattenere i talenti. I professionisti di oggi cercano impieghi che offrano non solo una remunerazione adeguata, ma anche un ambiente di lavoro stimolante e attento alle loro esigenze.
Sostenibilità e Responsabilità Sociale
Il welfare aziendale si inserisce in una visione di sostenibilità e responsabilità sociale d’impresa. Un’azienda che si prende cura dei propri dipendenti mostra di avere a cuore non solo il profitto, ma anche il benessere della comunità e l’ambiente in cui opera.
In conclusione, la pianificazione del welfare aziendale è un processo complesso che richiede impegno e visione strategica. Tuttavia, i benefici che ne derivano, sia per i lavoratori che per l’azienda, sono tangibili e duraturi. Un’impresa che investe nel welfare è un’impresa che guarda al futuro, pronta a costruire un ambiente lavorativo sano e produttivo, in cui ogni individuo può esprimere al meglio il proprio potenziale.
Con la nota n. 862 del 8/05/2024 l'Ispettorato nazionale del lavoro chiarisce alcuni dubbi in merito all'istituto della revoca delle dimissioni effettuata nel periodo protetto.
Premesso che le dimissioni si configurano come un atto unilaterale recettizio - che esprime la volontà e potere di recesso - viene chiarito che il vuoto normativo lasciato dal d.lgs. 151/2001 si debba riempire in senso favorevole alla parte contrattuale recedente.
Infatti, la revoca è sempre possibile, purché l'effetto finale ovvero la cessazione effettiva del rapporto di lavoro non si sia prodotto.
In parole semplici, la revoca può essere legittima ed efficace anche in attesa della convalida dell'Ispettorato, prima del provvedimento, ma anche dopo il provvedimento, purché la cessazione non si sia già verificata e quindi in definitiva, la revoca deve avvenire entro il termine perentorio della decorrenza delle dimissioni stesse.
Fermo restando che anche la revoca deve essere attenzionata dall'attività di controllo e valutazione della liceità da parte degli organi ispettivi, in modo tale da scongiurare eventuali comportamenti illeciti e/o discriminatori.
La revoca non è possibile se le dimissioni siano state convalidate e abbiano prodotto effetto. In tal caso la ripresa del rapporto di lavoro può avvenire solo con il consenso del datore di lavoro.
Il Decreto Coesione (D.L. 60/2024) ha introdotto diverse misure importanti, in particolare nel campo del lavoro e dell’occupazione. Ecco alcune delle principali novità:
Bonus Giovani: Questa misura prevede un esonero dal versamento del 100% dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro privati che assumono personale non dirigenziale under 35 con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, dal 01 luglio 2024 fino al 31 dicembre 2025. L’esonero è valido per un periodo massimo di 24 mesi e può arrivare fino a 500 euro su base mensile per ciascun lavoratore.
Bonus Donne: È previsto un esonero simile per l’assunzione di donne, con l’obiettivo di favorire l’occupazione femminile. I datori di lavoro possono beneficiare di un esonero dal versamento dei contributi previdenziali fino a 650 euromensili per un massimo di 24 mesi. Gli esoneri sono riconosciuti in caso di:
a) assunzioni a tempo indeterminato di donne di qualsiasi età, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi, residenti nelle regioni della Zona economica speciale unica per il mezzogiorno;
b) assunzioni a tempo indeterminato di donne di qualsiasi età, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno ventiquattro mesi, ovunque residenti.
Bonus ZES (Zona Economica Speciale): Per le assunzioni effettuate nelle regioni della Zona Economica Speciale unica per il Mezzogiorno, è previsto un esonero contributivo fino a 650 euro mensili per ciascun lavoratore assunto a tempo indeterminato.
Queste misure sono state introdotte per stimolare l’occupazione, in particolare tra i giovani e le donne, e per sostenere lo sviluppo economico delle regioni meno avanzate. La piena operatività di queste norme è subordinata al parere positivo della Commissione Europea e successive indicazioni operative da parte dell'INPS.
Attualmente, nell’ambito del lavoro subordinato, esiste un tipo di contratto caratterizzato dalla discontinuità della prestazione, dalla maggiore flessibilità e che si basa principalmente sulla
necessità aziendale del lavoratore. In tale frangente si parla di contratto di lavoro intermittente (detto anche lavoro a chiamata o job on call), disciplinato dal decreto 81/2015.
Tale contratto può avere però due accezioni: il primo, in cui viene prevista alla stipula, la cosiddetta “indennità di disponibilità”, in cui il dipendente ha l’obbligo di rispondere alla chiamata
con il contestuale diritto a percepire una indennità, appunto, per i periodi in cui è previsto l’obbligo. L’altro tipo invece non prevede anzidetta indennità, e pertanto, il lavoratore potrà, a sua facoltà,
esimersi dal prestare il lavoro richiesto dal datore. È da precisare che la discontinuità non implica la necessaria prestazione ridotta o di breve durata, potendo invece la prestazione lavorativa
prolungarsi per una notevole durata, purché i comportamenti delle parti non tendano a eludere la normativa vigente e, inoltre, che la durata del contratto non combaci esattamente con la
prestazione (Circolare Inail n. 64/2012). Non può essere stipulato un contratto di lavoro nelle seguenti circostanze:
• quando l’azienda non abbia provveduto ad effettuare la valutazione dei rischi;
• per sostituire dipendenti che esercitano il diritto di sciopero;
• nel caso di aziende in cui è in atto presso l’unità produttiva di riferimento una sospensione o
riduzione dell’orario in regime di CIG;
• nel caso di aziende in cui nei 6 mesi precedenti
presso l’unità produttiva di riferimento siano stati
operati dei licenziamenti collettivi;
Negli ultimi due casi il divieto opera tenendo conto dei lavoratori aventi medesime mansioni. Sono previsti inoltre dei requisiti soggettivi e oggettivi che operano alternativamente. Innanzitutto è possibile assumere un lavoratore intermittente con età inferiore a 24 anni o superiore a 55. In caso di raggiungimento di un intermittente assunto che raggiunga il 25° anno di età è possibile contestualmente intimare il licenziamento (C.G. UE C-143/16).
Un limite oggettivo che opera inoltre è quello temporale: infatti non è possibile il superamento delle 400 giornate lavorative nell’arco di 3 anni solari. Tale limite non opera nei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo.
In generale, nel caso di superamento delle giornate il rapporto deve essere trasformato a tempo indeterminato (Circolare M.Lavoro n. 35/2013). Il rapporto di lavoro intermittente può essere stipulato per lo svolgimento di prestazioni dicarattere discontinuo o intermittente nelle ipotesi individuate dai CCNL.
In assenza di previsione collettiva, si prendono in considerazione tutte le attività elencate appositamente con D.M.
Allo stesso tempo è possibile applicare le previsionidettate dalla normativa sull’orario di lavoro e nei casi previsti dal Regio decreto 2657/1923 (vedi anche D.M. 23/2004 e Risp. Interpello M. Lavoro
n.10/2016). Il rapporto può essere sia a tempo determinato che a tempo indeterminato. Nell’ipotesi di contratto a termine è da precisare che è totalmente slegato dalla normativa ordinaria prevista per i contratti a termine nel Jobs act. Nel caso quindi di riassunzione dello stesso lavoratore non è necessario il rispetto dello stop and go, così come non è richiesta la causale in caso di rinnovo e non si tiene conto del superamento del periodo complessivo dei 24 mesi. Come affermato dal Ministero del lavoro nella risposta all’interpello n.15/2013, l’unica eccezione alla non applicabilità della disciplina dei rapporti a termine riguarda la percentuale di contribuzione addizionale dello 1,40% per ogni contratto a termine stipulato. Per quanto riguarda invece il contributo pari allo 0,50% nei casi di rinnovo, la normativa prevede espressamente che opera solo per i contratti a “tempo determinato, compreso quello in somministrazione”, senza far riferimento esplicito al lavoro intermittente.
Oltre alle ferie, i dipendenti maturano contrattualmente durante l’anno alcuni giorni di permesso retribuiti dal datore di lavoro. Questi sono i ROL (Riduzione orario di lavoro) e i permessi ex festività.
Essi si riferiscono - ormai universalmente - alle 4 giornate retribuite spettanti, in sostituzione delle festività soppresse:
Martedì 19 marzo – San Giuseppe;
Giovedì 9 maggio – Ascensione;
Giovedì 30 maggio – Corpus Domini;
Sabato 29 giugno – SS. Pietro e Paolo;
Una particolarità riguarda la giornata del 4 novembre, la quale viene retribuita (nella maggior parte dei CCNL) riconoscendo lo slittamento della stessa alla prima domenica successiva. Si configura pertanto la fattispecie della festività non goduta.
Per quanto riguarda i ROL, (introdotti con accordo specifico tra Governo e sindacati nel 1983) essi sono spesso previsti in misura e modalità diverse a seconda del CCNL.
Ad esempio nel terziario - commercio sono riconosciuti dopo il 2° anno in servizio.
Spettano quindi 56 ore annue per le aziende fino a 15 dipendenti. Mentre salgono a 72 ore annue per le aziende con più di 15 dipendenti.
Per tutti coloro assunti dopo il 26/2/2011, le ore di permesso sono riconosciute in misura pari al 50% decorsi 2 anni dall’assunzione e in misura pari al 100% decorsi 4 anni dall’assunzione.
Infine, i permessi ROL, se non goduti entro l’anno di maturazione saranno liquidati al 30/06 dell’anno successivo salvo possibile fruizione degli stessi.
La maturazione dei ROL si configura quando nel mese di riferimento almeno 15 giorni risultano lavorati o comunque retribuiti.